strapaese

s. m. (lett.) anche con iniz. maiuscola, nel primo dopoguerra italiano, corrente letteraria che propugnava un ritorno alle tradizioni regionali in opposizione al cosmopolitismo.
1926 [DELIN 1931 (Panzini), GRADITe 1928 (E. Vittorini, "Letteratura, arte, società")]
- Mino Maccari [Punta-e-taglio], Qui, o signori, comincia la Cronaca di Strapaese, "Il Selvaggio", 15-30 luglio 1926: “Qui, o signori, comincia la Cronaca di Strapaese. Un po’ più giù di Firenze, un poco più su di Siena, sulla carta non è segnato, ma non importa, ce lo metteremo, eccome se ce lo metteremo! Strapaese vive a suo modo. O chi ce l‘ha piantato? I selvaggi – oh bella, chi ce l’avrebbe potuto piantare, un paese così selvatico?".
Cfr. Sanzio Balducci, Retrodatazioni lessicali italiane, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2002. Balducci propone come fonte Anselmo Bucci, Il pittore volante, Milano, Ceschina, 1930, riportando un brano scritto nel 1927: "[a proposito dei pittori fiamminghi] Questi sono gli strapaesisti olandesi del Cinquecento. Venivano da noi a scimmiottarci e allo strapaese loro dicevano: Noi siamo gli Olandesi veri". Per la retrodatazione al 1926 cfr. Bruno Migliorini, Fortuna del prefisso super-, in La lingua italiana nel Novecento, a cura di Massimo L. Fanfani, con un saggio introduttivo di Ghino Ghinassi, Firenze, Le Lettere, 1990 (rist. 2003), p. 160: "Foggiato da M. Maccari come nome proprio fittizio d'un paese veramente paesano, non contaminato dalla moderna civiltà ("Selvaggio" del 15-30 luglio 1926), il nome Strapaese fu presto adoperato per caratterizzare la letteratura d'ispirazione paesana, popolaresca [...]"; articolo pubbl. per la prima volta in "Archivum romanicum", XXI, 1937, pp. 211-227.
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Scheda di redazione - 06/12/2020