pangiallo

s. m. schiacciata di farina di mais, arricchita con uva passa, nocciole, mandorle, noci e pinoli, che si usa preparare a Roma nel periodo natalizio.
1787 [DELIN e GRADITe 1883 (C. Dossi, "I Mattoidi")]
- Vincenzo Agnoletti, La nuova cucina economica, vol. II, Milano, Agnelli, 1819, p. 168, s.v., con ricetta. Cfr. D’Achille-Altissimi-De Vecchis 2022.
- Cesare LOMBROSO, Studj clinici ed esperimentali sulla natura, causa e terapia della pellagra, Milano, Bernardoni, 1870, p. 7: "A detta di alcuni osservatori di Rovato, di Villanterio e della Brianza, qualcosa di simile nasce poi in quella trista focaccia di maiz, detta pangiallo, sia perché pochissimo se ne cuoce la farina, sia perché, per risparmiare la spesa ed il perditempo della cottura, se ne fanno pani grossi, che durano da dieci a quattordici, e fino venti giorni". Cfr. De Fazio 2012.
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Ludovica Maconi - UniUPO - 15/12/2023