s. m. e agg. chi/che coltiva lo studio e la lettura dell'opera di Dante.
1827
[GRADITe 1879, GRADIT 1956]
Cfr. C. MARAZZINI, Una parola della tradizione di studi danteschi: retrodatazione di “dantofilo”, in Laboratorio di ArchiDATA 2020, Firenze, Accademia della Crusca, 2020, pp. 29-39 (da cui si trae la seguente sintesi).
Secondo la lessicografia moderna, dantofilo è cosa diversa dal trecentesco dantista. Il dantista è l’esperto dell’opera di Dante, il dantofilo è chi “coltiva lo studio e la lettura di Dante” (così il GRADIT s.v.), dunque un amatore non necessariamente professionista. Il GRADIT assegna a Dantofilo datazione 1956, poi corretta in GRADITe in 1879 (riferita alle Giunte e correzioni del Tommaseo-Bellini). Entrambe queste date vanno però corrette.
La storia di dantofilo ci riporta a un momento magico dell’interesse per Dante, e anche ci rammenta la dimensione internazionale degli studi sul nostro maggior poeta. Nel 1862, Karl Witte, professore di diritto a Halle, aveva dato una celebre edizione della Commedia basata su quattro manoscritti, selezionati tra quelli che riteneva molto affidabili. Il saggio in cui Witte presenta le proprie ricerche in forma di Prolegomeni critici è ancora oggi esempio formidabile di rigore e di metodo. Tuttavia quattro manoscritti non potevano bastare.
L’oxoniense Edward Moore prese le mosse proprio dal lavoro di Witte, su cui espresse un giudizio positivo, pur rilevandone i limiti. Si trattava però di andare oltre. Non solo Moore stampò la Commedia, ma anche tutte le altre opere di Dante. Nel presentare i propri studi, e nel commentare quelli degli altri dantisti, Moore adoperò più volte la parola “Dantofilo”, sempre maiuscola. Siamo nel 1894, tuttavia per la storia di dantofilo si deve arretrare ancora, come del resto era già evidente, tenuto conto della registrazione della voce nel Tomamseo-Bellini e nel Petrocchi. Oltre al resto, sarebbe stato strano che uno straniero, inglese, per quanto ottimo conoscitore della nostra lingua, avesse inventato la parola nuova. Più verosimilmente, usava parole già esistenti.
“Dantofilo” era già stato adoperato nel 1861 da un grande scrittore italiano, Giosue Carducci, quando aveva recensito in maniera piuttosto critica, su “La Nazione” di Firenze del 21 ottobre, un saggio di Buscaino Campo intitolato Il piè fermo di Dante. Così esordiva Carducci in quella recensione: “Ecco per certo genere di Dantofili un bocconcino ghiotto…”. Carducci usava la parola in maniera ironica.
Dantofilo circolò tra i dantisti e dantologi, dopo l’uso fattone dal Carducci, il quale (ricordiamolo) fu tra i fondatori nel 1888 della Società Dantesca, e nel 1889 tra i fondatori della Società Dante Alighieri. Tale fortuna di dantofilo è testimoniata fra l’altro da diversi titoli di libri, che si ricavano facilmente dal catalogo OPAC-SBN.
Senza dubbio l’uso di un termine da parte di un autore di rilievo, noto per le qualità letterarie e per autorità culturale, è un fatto decisivo: l’autore importante favorisce la diffusione delle parole che usa, le promuove e le fa circolare. In questo senso, non tutti gli utenti della lingua hanno lo stesso peso. Tuttavia non va dimenticato che la lingua ha una dimensione collettiva, e gli utenti anonimi, i membri meno celebri della collettività, costituiscono sovente la trama sulla quale si innalzano ed emergono gli scriventi dotati di grande personalità, quelli che attirano la nostra attenzione in maniera privilegiata.
La grande biblioteca di Google ci aiuta proprio a scongiurare il rischio di vedere solo le cose più grandi, e ci aiuta a ricostruire la trama di fondo, quella dei minori, su cui spiccano i maggiori. Consultando dunque la biblioteca di Google ho recuperato diversi riferimenti utili a retrodatare dantofilo rispetto all’attestazione di Carducci 1861, e tra questi Casimiro Basi e Cesare Guasti, i quali, dal 1848, usarono il termine in riferimento al Witte, in relazione alle ricerche attorno a un manoscritto magliabechiano del commento dantesco dell’Ottimo. Casimiro Basi e Cesare Guasti, entrambi accademici della Crusca, non hanno certo la statura di Carducci, ma sono tuttavia autori dotati di qualche notorietà, almeno tra gli specialisti. Usano dantofilo senza alcun intento ironico o spregiativo, come del resto fece poi il Moore.
La parola dantofilo compare anche nell’importante bibliografia del De Batines, fin dalla prima edizione, quindi si rintraccia in un testo fondamentale che andò nelle mani di tutti gli studiosi di Dante. L’uso da parte del De Batines non dovette avere meno importanza, per la diffusione del termine, di quello successivo di Carducci.
Tuttavia la storia di dantofilo può partire da una data ancora precedente, e la prima attestazione non va attribuita a un non-italiano. Una nuova, più attenta e selettiva interrogazione della sempre incredibilmente preziosa biblioteca di Google mi riporta infatti al 1827, al Dante Bartoliniano di Quirico (alias Domenico) Viviani, già allievo di Cesarotti, un personaggio, come scrive Mario Scotti nella voce a lui dedicata dell’Enciclopedia dantesca, che ha “un posto famigerato più che famoso” tra gli editori della Commedia. Non mi soffermerò qui sulle manipolazioni del codice Bartoliniano e sulle relative forzature testuali e campanilistiche, ma darò conto invece del fatto che proprio il Viviani, in una nota, usi il termine Dantofilo per indicare niente meno che il Witte (di nuovo il medesimo appellativo per il medesimo studioso tedesco, come nel Basi e nel Guasti; e come pure in una recensione apparsa nel "Lucifero" di Napoli era usato per Lord Vernon: spesso, dunque, la designazione andava bene per gli eruditi stranieri in giro per le biblioteche d’Italia). Viviani riportava fra l’altro il passo di una lettera privata del Witte, con una citazione del commento dantesco di Jacopo di Dante. Siamo dunque risaliti fino al 1827. Se ci si ferma qui, la parola sembra da attribuire a questo discusso dantista, Quirico Viani, uomo dotato, ancora a detta dello Scotti, d’una “bizzarria […] non […] certo mancante d’ingegno”. Ma chissà che non si possa andare ancora più indietro. Si può comunque concludere che dantofilo è parola strettamente legata alla ripresa degli studi su Dante dell’Ottocento, alla circolazione in Italia di eruditi e filologi stranieri, e che si deve a Carducci la prima deviazione in senso ironico e polemico, un senso assente in precedenza, ed estraneo a molti altri utilizzatori.
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Claudio Marazzini - Accademia della Crusca - 04/05/2021